Vivere in barca: viaggi alternativi in Sardegna
Viaggi alternativi in Sardegna
Oggi per la rubrica Sardegna e viaggi lenti ho intervistato Federica Lecca che ha fatto del suo vivere in barca uno stile di vita, all’insegna del minimalismo e la semplicità. Infatti, lei e il marito abitano in un 9 metri ormeggiato nel porto di Cagliari, hanno un boat and breakfast e vivono una vita alternativa a suon di launeddas e onde del mare. Nell’articolo Federica ci racconta cosa significa anche vivere in barca in tempi di quarantena.
Ciao cara Federica, grazie per aver accettato il mio invito. Chi sei, cosa fai e dove stai andando? 🙂
E’ un po’ difficile spiegare chi sono, certo è che sono quel tipo di ragazza che ha deciso di seguire al 100% le sue aspirazioni e di fare quello che le va, senza costrizioni esterne e seguendo il proprio istinto. Provengo da studi medici, al momento lasciati solo in stand by per inseguire la mia voglia di interiorizzazione e libertà, nella ricerca di equilibrio con se stessi e con l’ambiente.
Sono una musicista ed una fotografa e questo mi basta per vivere ed essere felice. Sin da piccola ho avuto un latente desiderio di mare perenne, tanto è vero che sin dall’età di due anni e mezzo già sguazzavo tutti i giorni nelle acque cristalline della mia terra e assieme a mio fratello già andavo a fare le prime “lenzate”. L’estate ed il mare erano quel qualcosa che trepidamente aspettavo tutti gli anni e 25 anni dopo il sogno di stare sempre al mare è diventato realtà.
Ora voglio farmi promotrice di questo stile di vita per far conoscere un modo alternativo di vivere, per me sicuramente più felice.
Vivere in barca è la tua idea di casa. Lo trovo meraviglioso, davvero. Mi racconti una giornata tipo?
La mia giornata tipo è scandita dal ciclo naturale delle cose. In genere la prima cosa che si fa al mattino è spegnere insistentemente la sveglia e rimandarla all’infinito. In barca la mia sveglia è il sole che sorge ed è da quel momento che la giornata a bordo inizia. Dopo essere stata quindi svegliata dai suoi raggi esco dalla cabina a controllare il barometro. In porto, come in navigazione, bisogna controllare prima di tutto l’efficienza dell’imbarcazione, ad esempio verificare che non sia presente dell’acqua nella sentina, che l’impianto elettrico non abbia avuto un corto. Dopodiché apro il tambuccio e guardo il cielo cercando di fare una previsione approssimativa. Quando si vive in mare il tempo (non inteso come lo scorrere delle lancette dell’orologio) diventa parte integrante di te e influenza le tue giornate… ed anche i tuoi pranzi a base di pesce visto che da esso dipende tantissimo il fatto che si ritorni a reti vuote oppure no. Dopo aver fatto tutto questo metto su il caffè con il quale sveglio mio marito e dalla colazione inizia la giornata attiva, fatta di studio e musica e normali faccende quotidiane. La giornata scorre molto rapidamente perché in barca c’è sempre da fare, e non parlo di pulizie e lavatrici ma di piccoli lavoretti e cure di cui la barca ha bisogno per rimanere viva in salute. Prendersi cura di una barca è molto complesso e difficile ed è un po’ come prendersi cura di una persona cara.
Ma i momenti più belli sono scanditi dalla caratteristica vita di banchina. Ecco che come is faceva un tempo passa il vicino a dare il buongiorno chiamando e picchiando sulla scaletta e ti offre il caffè, tu lo avrai già preso ma il rito si ripete e così per ogni vicino (ecco perché oramai stiamo comprando caffè decaffeinato ahah)! Ci si scambia due chiacchiere e talvolta una mano visto che per l’appunto in barca c’è sempre un gran da fare. Insomma, quella che all’apparenza potrebbe sembrare una vita un po’ in disparte e fuori dal mondo è invece ricca di compagnia e convivialità che ti permette di concludere la giornata con un sorriso. Infine, si osserva il tramontare del sole, magari davanti ad un buon bicchiere e ci si accinge a preparare la cena per poi concedersi al sonno ristoratore, accompagnato dal silenzio e dai pesci che ogni tanto sbattono sulla carena.
Sono molto sensibile al tema della sostenibilità, soprattutto legata ai viaggi. Come si inserisce il progetto Boat&Breakfast in questo?
Il progetto del boat and breakfast è nato proprio per divulgare un progetto di vita più semplice e libero dagli sprechi per quanto possibile, per far conoscere l’importanza di emozioni essenziali ed autentiche spesso perdute fra il tran tran generale della vita stressante e frenetica della città.
I turisti da tutto il mondo che vengono a trovarci decidono di alloggiare da noi per capire come vivono i marinai e carpire i segreti della nostra vita felice. E’ così che li facciamo entrare nel vivo della nostra cultura locale facendo tastare con mano quante poche cose siano necessarie in una vita quotidiana, facendo provare le nostre attività e la nostra cucina. Chi viene da noi inizia la sfida dalla preparazione della valigia… o meglio dello zaino! In fase di prenotazione invitiamo a portare al massimo uno zaino per persona, d’altronde tutto l’essenziale per vivere si trova già a bordo… quindi due cambi d’abito e via! (Un concetto di vita semplice già insita nel sardo e perfetta da provare in una città come Cagliari)
Fate parte di un circuito turistico? Ci sono altre attività del genere in Sardegna?
La mia attività fa parte di una associazione molto valida a sostegno del turismo extra alberghiero, l’associazione Extra che si occupa di sviluppo e assistenza delle strutture extra-alberghiere come la mia, che ormai da quattro anni promuove l’unico salone nazionale del turismo extra alberghiero dall’omonimo nome. C’è qualche altra realtà simile alla mia ma siamo ancora molto pochi, basta dare una occhiata al registro regionale delle strutture per vedere che ci contiamo sulle dita di una mano.
Quali sono piccole azioni eco sostenibili per preservare la fauna e la flora marina che ti senti di consigliare?
Vivere in barca ti aiuta a saper scegliere qualcosa ancor prima che questo qualcosa metta piede a bordo e questo qualcosa spazia dai vestiti al cibo. So che detto così sembra generalista e lontano dal discorso flora/fauna marina, ma andiamo nel dettaglio. Pensiamo adesso a quante cose abbiamo nella nostra casa, comprate e mai usate o accumulate nei mobili e negli armadi: cosa succede dopo un tot di anni? Queste cose vengono letteralmente BUTTATE e per smaltirle si produce inquinamento. Produciamo una quantità immensa di rifiuti! Per esempio, la produciamo quando acquistiamo cibi pronti perché non abbiamo tempo, cibi che sono confezionati in mille involucri e riempiamo i nostri frigoriferi giganti di roba per colmare non so cosa dove poi puntualmente qualcosa va a male e viene buttato. Ecco, anche se non sembra questo “inquinamento” prodotto nel buttare e smaltire, per il ciclo delle piogge, e non solo, finisce a mare.
Vivere in barca invece, significa dover avere a che fare con spazi molto più razionali non hai la possibilità di accumulare, né cibo e né vestiti e dunque prediligi l’acquisto del fresco a prescindere, dal piccolo produttore, dalla bottega vicina. Consumi ed utilizzi quello che ti serve in quel momento, e ti rendi più conto di quando produci un rifiuto perché in uno spazio piccolo è ancora più evidente.
Purtroppo da questi meccanismi non possiamo essere immuni, la cultura dello sfuso non è radicata ed in ogni caso “Il packaging” si rende talvolta necessario per la conservazione e l’igiene di alcuni alimenti o prodotti e dunque sei costretto ad acquistare determinate cose per forza. Pensiamo per esempio ai blister dei farmaci, se ne hai bisogno non è che puoi esimerti dall’acquistarli. E’ qui che quindi servirebbe un cambio di rotta, passando piano piano alla produzione di involucri esclusivamente biodegradabili.
Il primo consiglio è quindi: non fate gli accumulatori seriali, vivete di quello che vi serve alla giornata, ne giovano il corpo e la mente che sono costretti ad uscire e muoversi più spesso e ne giova l’ambiente che non viene più sovraccaricato.
Il secondo consiglio che può sembrare banale ma non lo è è ovviamente non buttare la plastica, ma non rimanendo relegati solo al concetto di non buttare la plastica a mare ma di non buttarla a prescindere nemmeno in strada, sulla terraferma. Tutto ciò che “per sbaglio” cade dalle nostre mani in strada, tramite il vento e le fogne, finisce come ultimo stadio in mare e lì ci rimane a vita, insidiando la vita di tantissimi organismi e creature che purtroppo non riescono a distinguere la plastica dal cibo vero, plastica che finisce nei loro stomaci e finisce per ucciderli ma anche che finisce nelle nostre tavole sotto forma di micro plastiche, ingerite dai nostri amati gamberi al forno o pesci grigliati.
La terza nota dolente per la tutela della flora e fauna marina è la pesca a strascico purtroppo ancora presente. So che è un argomento delicato e che avrebbe bisogno di una rivoluzione più grande e di una trattazione a parte, purtroppo però la pesca a strascico ed intensiva sta portando allo spopolamento dei mari, questo perché è un tipo di pesca non selettiva che “sradica” dal fondale qualsiasi cosa che molto spesso muore prima di essere ributtato a mare. Nelle reti si trovano spesso stelle e cavallucci marini, pesce piccolo non vendibile che non ha la possibilità di continuare il suo ciclo di crescita e riproduzione…e così via. So che è già vietata in alcune parti del mondo, ma siamo ancora lontani da una regolamentazione seria e soprattutto ci sono ancora troppi pochi controlli in questo settore. E’ difficile stabilire un compromesso poiché intere famiglie vivono di questo e quindi ci si trova davanti sempre a situazioni difficili.
Però una cosa la voglio dire, il mare non perdona. E quando si raggiungerà il limite forse verrà rivalutato tutto da zero.
Visto il periodo epocale che stiamo vivendo, cosa significa “stare a casa”, quindi vivere in barca durante la quarantena?
Vivere in barca in quarantena significa fare la vita di sempre con una boccata d’ossigeno in più. Questo perché la quarantena ha annullato completamente alcune “interferenze” che ogni tanto si percepivano qui in marina, come il suono delle macchine nelle strade a scorrimento veloce.
Inoltre, la cosa meravigliosa è stata vedere l’acqua molto più pulita e cristallina, cosa che qui in porto è purtroppo una rarità. La macchina uomo si era fermata ed il resto della natura si riprendeva i suoi spazi. In aggiunta ai raggi del sole ha iniziato ad aggiungersi al risveglio il cinguettare degli uccellini ed il suono della natura era più vivo ed in sintonia con la vita qui.
E’ difficile da descrivere ma forse, se siete stati fortunati, conoscete il silenzio assordante: ecco, il silenzio assordante creatosi ed interrotto solo da acqua, vento ed uccelli ha aiutato ancor di più a riflettere e liberare la mente. Ogni tanto ci vuole una pausa per ristabilire equilibri innati, sconvolti dalle nostre azioni sbagliate.
Veniamo a te. Oltre la libertà del vivere in barca, i viaggi, un compagno con la stessa passione e una bimba in arrivo, tu sei anche una musicista di launeddas…
non ci sono molte donne che suonano questo tradizionale strumento della Sardegna. Com’è nata la tua passione per le launeddas?
La mia passione nasce anch’essa dall’infanzia, da quando con mio padre andavo a vedere la processione di Sant’Efisio. Quei particolari suoni mi avevano colpito molto e così diversi anni dopo mi iscrissi ad un corso appena se ne presentò l’occasione. Da quella prima lezione sono ormai passati 16 anni ed ora ho intrapreso anche gli studi al Conservatorio di Musica di Cagliari, sempre sotto l’ala del mio maestro da sempre: Luigi Lai.
Ma perché le launeddas? Le launeddas rappresentano quella parte di cultura sarda non scritta ed ancora viva della nostra antica generazione. I suoni e le musiche di questo strumento raccontano dei nostri riti, delle nostre usanze ed è stato dimostrato come il suono degli strumenti arcaici come le launeddas possano essere in grado di risvegliare emozioni inconsce, con le loro particolari frequenze. La coltivazione di questo strumento si sposa bene con la vita della barca poiché proprio per questa sua capacità terapeutica ti aiuta ancora di più ad interiorizzare e ritrovare la pace dei sensi.
Insomma, super donna intraprendente, creativa, libera e anche musicista.
[Io] Dopo questo periodo di riflessione e quarantena, la Sardegna avrà bisogno di promozione, “condivisione di intenti” e di persone resilienti come te. Uno degli obiettivi di questo blog è quello di divulgare azioni sostenibili e anche di far conoscere la cultura sarda e il nostro territorio.
Cosa ti senti di dire? Puoi anche non rispondere perché a caldo, solitamente, si risponde di petto 🙂
[Federica] Inizio subito con l’affermare questo: noi sardi non dobbiamo dare per scontato quello che abbiamo. A noi Cagliaritani sembra normale avere una spiaggia che dista 10 minuti dal centro città, dove ogni estate siamo abituati ad andare e ci sembra normale avere la nostra Sella del Diavolo che grazie alla sua conformazione ci regala paesaggi panoramici e marini mozzafiato con le sue grotte e le sue insenature. Dobbiamo pensare che tantissime delle persone che vengono a trovarci il mare l’hanno visto solo in fotografia oppure vivono in posti dove il mare non esiste e dista centinaia di chilometri.
Una delle mie prime coppie di turisti provenienti dalla Russia mi ha fatto aprire gli occhi su questo e non mi scorderò mai le loro parole, vi racconto come è andata per farvi capire che a volte le cose più semplici e scontate sono la più grande risorsa.
Durante il loro soggiorno purtroppo il tempo non è stato clemente (diluvio e temporale), dunque non siamo potuti uscire in mare ed allora ho pensato di portarli a Capo Sant’Elia per far vedere loro le onde di 10 metri che si infrangevano sulla scogliera. Esterrefatti e increduli si girarono e mi dissero: “voi vivete in un paradiso, la nostra esperienza qui è stata la più bella che abbiamo mai fatto”.
Alla luce di questo quindi vorrei lanciare un messaggio e cioè quello di essere orgogliosi di ogni nostra risorsa, anche piccola, della nostra cultura culinaria, di ogni angolo del nostro territorio. Ai sardi rimprovero troppo il fatto di lamentarsi che nessuno fa mai niente, che non si collabora, che siamo testardi e questo purtroppo, a volte, lo facciamo vedere anche all’esterno: i panni sporchi laviamoceli in casa. Se ognuno di noi si impegnasse a promuovere anche una sola piccola cosa della nostra cultura e del nostro territorio potremmo davvero vivere solo di turismo e offrire un ventaglio così ampio di offerte che il turista tornerà per forza a provare ciò che non ha provato nella precedente esperienza.
[Io] Quando mi inviti a fare un giro in barca a suon di launeddas? 🙂 Ci vediamo presto in mare, ci sono ancora tante albe e tramonti che ci aspettano e persone come te che diffondono messaggi di pura bellezza e resilienza. Grazie cara Federica!
Pagina Facebook Kairos boat and breakfast
Posso aiutarti a promuovere la tua attività? Se anche tu vuoi condividere la tua storia di resilienza, arte, responsabilità o la tua piccola rivoluzione scrivimi.
Lasciami le tue impressioni nei commenti.
E se ti è piaciuto questo articolo condividilo 🙂